C’è un mese, in Italia, in cui sappiamo di avercela fatta. Si smette di guardare il cielo con apprensione per paura sia gravido di pioggia o arrabbiato di grandine o troppo pallido di un sole timido, è un mese a tinte calde e profuma d’uva. Le code di macchine, in campagna, si fanno silenziose e pazienti al rispettoso seguito di lenti carri che trasportano grappoli. Il giorno in cui inizia la vendemmia, inizia un nuovo anno e significa che tutto è andato come doveva. «Il Pinot Nero, quest’anno, ha mezzo grado in più. Significa che è più forte, e che c’è stato più sole. E in questo momento, in cui il mondo è a testa in giù, io lo vedo come un auspicio. Un bellissimo auspicio». Ha chiuso oggi la loro vendemmia, Giancarlo Aneri, era iniziata l’8 settembre con il consueto pranzo di famiglia tra i filari, perché per loro è come il taglio del nastro alle inaugurazioni e perché ogni filare, ogni singolo grappolo della produzione parla di lei: la famiglia. A partire dai nomi. Ogni azienda agricola si chiama come le nipoti di Giancarlo Aneri: La numero 1, Lucrezia, la numero 3, Giorgia, la numero 5, Ludovica. Poi c’è la produzione biologica, la numero 7, dedicata a Leone, l’unico maschio e ultimo nato. Mentre i vini prodotti sono battezzati come i figli, il Pinot Nero Alessandro, l’Amarone Stella, e come la moglie: il Pinot Bianco Leda. «Mi piace l’idea che tutto si fonda, che un giorno io possa lasciare loro un’azienda che parla di noi, racconti la nostra storia e mi piace il fatto di costruirla tutti insieme» spiega Aneri. «A Legnago viviamo tutti nello stesso palazzo, i pranzi della domenica sono dei consigli d’amministrazione… Ma tutti noi abbiamo il senso di ciò che facciamo. Mi ha fatto sorridere la mia nipotina che al mio ritorno dagli Stati Uniti, una volta mi è corsa incontro raggiante: “Nonno, abbiamo ricevuto due ordini importantissimi, 6 bottiglie da Parigi, 12 da New York”…». L’impegno e l’entusiasmo di Ludovica hanno fatto commuovere il nonno, ma, ovviamente, gli ordini che arrivano all’Aneri sono di ben altra entità. Basti pensare che due tra i clienti «storici» dell’azienda sono Esselunga e il gruppo Elior Itinere che fornisce il servizio ristorazione sui Freccia Rossa e che, causa Covid, ha commissionato ad Aneri bottiglie di vino «monouso» da 200 centilitri. «Mi piace dire che sono i clienti a sceglierci ma che siamo anche noi a scegliere loro. Sono felice di poter dire che lavoro solo con clienti che mi piacciono. E che dai miei clienti ho ricevuto immense soddisfazioni, sia per la durata dei nostri rapporti, che li rende persone di famiglia, sia per il fatto di averci scelti in momenti per loro cruciali» racconta il fondatore.
«Obama e Trump hanno brindato con Aneri il giorno delle loro elezioni, anche Putin, in tante occasioni. Il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, (e io sono juventino) ogni anno manda una magnum di Amarone con la sua firma a ciascun giocatore, per lo scudetto vinto. E ho una magnum di Amarone da sei litri in serbo per Mario Draghi, per ringraziarlo del lavoro svolto alla Bce, ma poi è scoppiato il Covid…». Ha il suono di una bottiglia appena aperta la voce di Aneri quando racconta del suo lavoro «Ma vuole mettere la fortuna di occuparsi di ciò di cui mi occupo io? Davanti ad un bicchiere di vino si può rimanere le ore, pensi se vendessi tollini di ferro, dopo “me ne mandi due camion”, tutto finirebbe lì…». Invece lui fa vino. Vendemmia e riproduce ogni anno la vita che nasce: le bollicine che portano i sorrisi, l’Amarone che sigilla e incornicia. Il prosecco per gli uomini disponibili, il nobile rosso per gli uomini potenti. È un ottimismo senza scampo il suo, anche adesso, in questi mesi d’ombra. È convinto che quello che fa sia il mestiere più bello del mondo «E poi lo faccio nel Paese più bello del mondo. Mi creda: gli italiani non si fermano. Davanti a niente».