Grida al «miracolo a Legnago». E c’è da capirlo, se si pensa che il filo conduttore tra i grandi della Terra, il collante «ideologico» dei Paesi riuniti attorno a un tavolo per il G20, è stato lui: Giancarlo Aneri. O meglio, ciò che produce. Vino, olio e caffè in confezioni personalizzate sono state recapitate ai presidenti e capi di stato di mezzo mondo attraverso i loro ambasciatori. E avevano tutti la sua firma. «Siamo una piccola azienda artigianale. Devo dire che la cosa mi esalta. Quando ho iniziato, ventisette anni fa, ho subito avuto l’attitudine a pensare in grande. Ma recapitare i miei prodotti ai quaranta uomini più importanti della Terra mi ha emozionato. Davvero». Li hanno consegnati personalmente Giancarlo e i suoi figli (anche per questioni di sicurezza), sono partiti da Legnago in macchina e sono arrivati a Roma, a Palazzo Chigi. E le etichette, sono state incollate a mano ad una ad una, dai suoi figli e dai suoi nipoti perché, come dice il fondatore, «la miglior bandiera italiana è la famiglia». E si commuove pensando ad una frase del compianto Ennio Doris: «Poco prima di andarsene rilasciò un’intervista e di tutte le cose che avrebbe potuto annoverare tra le sue fortune, parlò solo del fatto che i suoi figli la pensavano come lui, condividevano la sua visione e avrebbero portato avanti ciò che aveva creato. Questo la dice lunga, a mio avviso». Perché secondo Aneri, con la continuità, batti tutti gli altri e il fatto che dietro a un’azienda, a un prodotto, ci sia una famiglia, è sempre una garanzia per tutti. E infatti… Gli incontri istituzionali di Biden, Clinton, Bush, Regan… quella di Berlusconi, Putin e di tanti altri ancora, tutte annaffiate da Amarone Aneri. Fino alla Nuvola per il G20: è arrivato ovunque ma ancora non si ferma. «Sono un grande lettore e capisco in anticipo cosa accadrà e dove. Mi è utile per giocare d’anticipo. E capire dove muovermi. E poi c’è il passaparola. Ho avuto la fortuna di essere apprezzato dai primi clienti e dai primi amici. Il resto è arrivato. Una volta al Four Seasons di New York hanno organizzato una festa con, tra gli altri, Bush padre, Clinton e Powell. C’erano il mio vino e il mio caffè in quell’occasione. Ma l’ho saputo dai giornali americani». È divertito dal fatto che il suo caffè, che ha tenuto svegli i grandi della Nuvola, sia lo stesso che chiunque può andarsi a comprare all’Esselunga ed è affascinato dal fatto che i suoi doni entreranno proprio nelle case dei potenti, ad ogni latitudine.
È orgoglioso del made in Italy, «che piace a tutti», come ripete sempre e che quindi, a suo avviso, gli rende più facili le cose. Lo sente rinascere il suo Paese «anche se la gente ha ancora paura, è più prudente nel fare programmi, prima si pianificavano le cose di anno in anno, ora lo si fa solo per il mese successivo». Ma ha voglia di tornare a viaggiare e di spaccare il mondo «è come se con questa pandemia mi avessero legato braccia e gambe. Il lavoro è cambiato troppo. Non puoi trasmettere calore da un video, noi italiani siamo abituati ad esserci, a toccare, a passare emozioni. Ho voglia di correre come un matto, di tornare a prendere un aereo per Londra il venerdì, di far visita a un distributore e poi di andare a vedermi una mostra alla Tate Gallery. Ma tornerò a farlo. Torneremo tutti alla normalità». Ovvio. Aneri è da sempre, prima di tutto, un ambasciatore di ottimismo. Come Mario Draghi, secondo lui: «Abbiamo iniziato con “miracolo a Legnago”, chiudiamo con “miracolo a Roma”. Draghi è il nostro miracolo. È un uomo al quale ci si affida volentieri. È stimato in tutto il mondo. E se ritiene di dover fare qualcosa, è perchè va fatta».